Ti ricordi… Nicola De Santis?
Dodici mesi, dodici uscite dedicate ai grandi protagonisti della storia calcistica neroverde, il più che meritato e doveroso tributo ad alcuni degli attori indimenticabili che hanno scaldato le domeniche pallonare dei bitontini nell’ultimo cinquantennio, facendoci esultare per un gol, una parata, una giocata in mezzo al campo, un intervento difensivo o semplicemente perché hanno indossato la Nostra maglia davvero con lo spirito dell’indomito Leoncello…
Le interviste del Centenario sarà la rubrica che vi terrà compagnia nel corso di questo 2021 che coincide con il compleanno “secolare” del Bitonto Calcio, cento anni attraversati da gioie, dolori, speranze, delusioni, vittorie esaltanti e cadute dolorosissime. Momenti caratterizzati, sempre e comunque, nel bene o nel male, da un comune denominatore: la passione sportiva di una città che non ha mai smesso di lottare e rialzarsi.
Nicola De Santis da Bitonto è arrivato tardi a vestire i colori della squadra della sua città. Classe 1978, egli è infatti approdato la prima volta alla corte del Leoncello alla veneranda età – per un calciatore in attività – di 37 anni, eppure, in allenamento o in partita che fosse, nessuno si è mai permesso di commentare negativamente questo aspetto anagrafico collegato alle sue prestazioni in campo. Semplice, perché la professionalità (quasi un quindicennio ininterrotto trascorso in Serie C), l’attaccamento alla causa, il peso specifico dimostrati nel rettangolo verde e nell’altrettanto decisivo spogliatoio sono sempre stati esemplari, trascinanti, encomiabili. Tre stagioni di fila in Eccellenza, una breve parentesi nel mezzo, con gli stessi colori addosso (a Corato), e un ritorno da figliol prodigo in Serie D breve ma intenso. Con un amico vero in panchina e un sogno pallonaro inedito solamente accarezzato: tornare nel professionismo con la sua Bitonto. Di fatto, la carriera da calciatore attivo del nostro Nicola De Santis finiva lì, terminava così, sotto l’amaro diluvio playoff di Taranto, post season 2018-2019. Tuttavia, non si esaurivano assolutamente sul campo di battaglia dell’affascinante “Iacovone” i suoi progetti, i programmi che lo avrebbero visto – e lo vedranno, c’è da giurarci – protagonista per tanti anni ancora nel mondo che più gli appartiene. A bordo campo, in tribuna, nella pancia di qualche stadio o a supervisionare qualche raduno per giovani talenti. Non importa dove, come e quando, Nicola De Santis “da grande” sarà sempre Uomo di Calcio esemplare, trascinante, encomiabile. Buona lettura.
Ciao Nicola. Innanzitutto, dobbiamo definirti “ex calciatore” solo del Bitonto o in generale?
“A malincuore sì, il momento del ritiro definitivo è purtroppo giunto. Il mio rammarico più grande è quello di aver smesso nel silenzio del ‘non-campo’ perché, dopo la sospensione causa pandemia dell’Eccellenza, mi sono fatto svincolare dal Mola per non precludermi nulla. Ad esempio, si poteva fare a Martina con l’amico Massimo Pizzulli in panchina, ma il Covid ha fatto il resto e il senso di responsabilità verso figli, moglie e genitori (che vivono nel mio stesso stabile) mi ha spinto a prendere la decisione più giusta, matura. Forse sono uno dei pochi che può affermare di aver smesso per scelta personale e non per imposizione altrui, d’altronde io mi sento ancora benissimo a livello fisico e fino all’ultimo mi sono allenato con la serietà di sempre, conducendo tutt’ora una vita sana, da atleta. Nella seconda parte di stagione, quest’anno, sono stato una sorta di ‘secondo fuori dal campo’ a Gravina, dove ho dato una mano a mister De Candia studiando per lui le avversarie. Mi sono mosso a fari spenti, ma è stata una bella e costruttiva esperienza professionale”.
Hai in programma una partita d’addio? Se sì, pensi possa coinvolgere in qualche modo anche i colori neroverdi?
“Non ci ho ancora mai pensato, a dire il vero, ma solo perché sono preso da tantissime altre cose in questo momento. Ho tante idee ‘calcistiche’ in mente ora, quindi, è forse giusto che questa organizzazione rimanga ancora sospesa… Se mai dovesse esserci una mia partita d’addio al calcio giocato, sicuramente verrebbe coinvolto in qualche modo anche il mio passato neroverde”.
Cos’ha rappresentato, per te, la maglia del Leoncello in una carriera trascorsa più tra i professionisti che nel dilettantismo?
“Ho avuto la fortuna di aver preso parte a due diverse famiglie Bitonto. Per quanto avvenuto durante la mia prima esperienza in neroverde, posso solo ringraziare Cariello e tutti coloro che non solo mi hanno voluto nella squadra della mia città, ma mi hanno anche trattato benissimo. Tutti, società, dirigenza e compagni di squadra. Il secondo approdo è stato molto più breve a livello di tempo trascorso con quella maglia addosso, ma non posso che essere grato a Rossiello e mister Pizzulli perché, grazie a quei mesi al Bitonto in Serie D, ho indossato anche la fascia da capitano e toccato le 100 presenze in neroverde. Indossare la maglia della propria città è sempre un orgoglio, a prescindere dalla categoria. Molti bitontini, soprattutto i più giovani, addirittura non mi conoscevano, proprio perché ho sempre giocato fuori, tra professionismo e dilettantismo. Giocare a casa con quei bellissimi colori addosso mi ha dato e mi ha permesso di trasmettere entusiasmo, molto al di là degli anni sulla carta d’identità. Per il Bitonto ho giocato con una caviglia praticamente rotta, con un ginocchio infiammato e con la febbre perché dev’essere così, non si può creare ‘distacco’ in campo fra il calciatore e l’uomo di quello stesso posto”.
Cerchiamo di riassumere al meglio i tuoi tre anni di fila in Eccellenza, da assoluto protagonista nonostante gli “anta” fossero già all’orizzonte, e la seconda parte di stagione con mister Pizzulli nel tuo ultimo anno in Serie D, primo per il Bitonto dopo tanti anni.
“Quelle in Eccellenza sono state tre annate molto diverse tra di loro. Il primo anno si era partiti con un progetto tutto bitontino, che però alla fine non ha portato i risultati sperati. Prima il concittadino Modesto in panchina, poi mister Pettinicchio con degli acquisti fatti anche ‘fuori città’, ma senza alcun netto cambio di rotta. L’anno dopo, con De Candia, si era partiti con ben altri obiettivi, ma quel famoso 2-2 in casa contro il Cerignola probabilmente ci ha tagliato le gambe in maniera irreversibile. Il terzo anno è stato difficilissimo ma, nonostante una squadra ‘normale’ a sua disposizione, mister Zinfollino ci ha portato miracolosamente fin lassù in vetta, ma il progressivo declino successivo è stato inevitabile… Con Pizzulli sono arrivato nel gennaio 2019, per dare una mano esperta ad un gruppo già fortissimo di suo: Patierno, Turitto, Biason, Figliola, Montrone, Terrevoli, Falcone, Piarulli e via discorrendo. Arrivammo a giocarcela alla grande sotto l’acquazzone dello ‘Iacovone’ di Taranto, ma purtroppo non si riuscì ad andare oltre quella semifinale playoff che comunque fu un grande risultato, essendo il primo anno del Bitonto in Serie D dopo quasi un decennio pieno di assenza da una categoria che, in riferimento al solito girone H di ferro, è una reale anticamera del professionismo”.
Qualche rimpianto?
“Sì. Devo essere schietto e sincero: il mio massimo rimpianto neroverde è quello di non aver avuto la fortuna di poter continuare un percorso professionale nel Bitonto, dopo quella mia ultima esperienza da calciatore. Inoltre, sono molto rammaricato per non essere entrato nemmeno in nomination per il contest della Top XI del Centenario, dopo quattro anni in cui credo di aver dato tanto per questi colori. Ma pazienza, a quasi 43 anni sono abituato a rispettare le scelte e le decisioni altrui, nessun rancore con chicchessia, tranquilli”.
I compagni di spogliatoio neroverde che più ti hanno impressionato e perché.
“Vincenzo Modesto mi ha impressionato per il suo attaccamento alla maglia bitontina, gli ho visto fare con i miei occhi cose che non so in quanti avrebbero fatto solo per il bene del Bitonto. Un ragazzo come Francesco rubini dovrebbe sempre esserci all’interno di uno spogliatoio, in qualsiasi categoria. Kikko Patierno, nella mia seconda esperienza in neroverde, con me si è dimostrato uomo e giocatore straordinario. Il più forte di tutti. Se fosse maturato un po’ prima, avrebbe probabilmente giocato in Serie A”.
Nei tuoi tantissimi anni di carriera hai avuto dei modelli di giocatore a cui ti sei ispirato? Qualche giovane, al contrario, ti ha mai riconosciuto il merito di essere stato tu il suo riferimento dentro e fuori dal campo?
“Senza alcun dubbio Antonio Dell’Oglio (protagonista della precedente uscita della nostra rubrica, ndr), un modello grandioso. Dentro e fuori dal campo, uomo e calciatore eccelso. A parti invertite, tantissimi giovani con cui ho giocato mi hanno detto o fatto capire che ero un riferimento da seguire per loro. In tutta onestà, per qualsiasi ragazzo che voglia crescere con umiltà e raggiungere gli obiettivi con il sacrificio potrei essere un ottimo esempio perché io vengo da una famiglia umile e mi sono guadagnato in prima persona quasi quindici anni di calcio professionistico. Sapendo il significato della parola ‘sacrificio’ e sempre guidato dal mio unico credo, da atleta: lavorare sodo, senza sgarri o inutili distrazioni”.
Avendo giocato quasi per un quindicennio ininterrotto in Serie C, sicuramente puoi dirci con cognizione di causa a che punto è Bitonto (città, Amministrazione, tifoseria e società di calcio) nel suo processo di avvicinamento al mondo del professionismo. Manca ancora qualcosa, secondo te?
“Per poter raggiungere il professionismo e, soprattutto, restarci a lungo, credo che tutti debbano avere le proprie responsabilità e tutti remare dalla stessa parte: Presidente, società, squadra, Amministrazione e tifosi. I ruoli devono però essere sempre ben distinti, nessuno deve avere più funzioni, ognuno deve fare solo il suo. Perché, sia nella dirigenza sia al di fuori, la somma del minimo di tutti dà il massimo totale. C’è terreno fertile a Bitonto, quello sicuramente, ma non siamo ancora ad un piccolo passo dall’eventuale accesso e consolidamento duraturo nel mondo del professionismo. Ci sono ancora delle cose da mettere a punto, tuttavia sembra che la volontà stia pian piano diventando comune”.
Lasciamoci con i progetti futuri di Nicola De Santis. Cosa farai da grande?
“A me piace tantissimo allenare e insegnare calcio, quindi, adesso faccio sicuramente quello che mi piace di più. Sono quotidianamente a contatto con i più piccoli ed è il massimo per me, oggi. Lo step successivo sarà quello di allenare i grandi, il patentino Uefa B già ce l’ho, ora sto vedendo come muovermi per ottenere la certificazione Uefa A. Di sicuro, da grande sarà ancora nel mondo del calcio, a bordo campo”.
Volontà e piacere di tornare a lavorare nella e per la squadra della tua città?
“Certo che sì! Se posso essere uno di quei tasselli utili per far arrivare nel professionismo la mia città, assolutamente sì. Darei volentieri il mio contributo per provare a far consolidare il nome di Bitonto nel calcio che conta”.