LE INTERVISTE DEL CENTENARIO. PUNTATA 2

TI RICORDI… PAOLO CATUCCI?

Dodici mesi, dodici uscite dedicate ai grandi protagonisti della storia calcistica neroverde, il più che meritato e doveroso tributo ad alcuni degli attori indimenticabili che hanno scaldato le domeniche pallonare dei bitontini nell’ultimo cinquantennio, facendoci esultare per un gol, una parata, una giocata in mezzo al campo, un intervento difensivo o semplicemente perché hanno indossato la Nostra maglia davvero con lo spirito dell’indomito Leoncello…

Le interviste del Centenario sarà la rubrica che vi terrà compagnia nel corso di questo 2021 che coincide con il compleanno “secolare” del Bitonto Calcio, cento anni attraversati da gioie, dolori, speranze, delusioni, vittorie esaltanti e cadute dolorosissime. Momenti caratterizzati, sempre e comunque, nel bene o nel male, da un comune denominatore: la passione sportiva di una città che non ha mai smesso di lottare e rialzarsi.

Secondo appuntamento ed esordio in copertina per un bitontino D.O.C., dopo il lancio di gennaio dedicato alla coppia barese D’Addabbo-Ferrante. Oggi tocca a Paolo Catucci prendersi tutta la meritata scena, il terzino sinistro con licenza di segnare e far segnare che ha attraversato due decenni in neroverde, vivendo in prima persona i cambiamenti tecnici e tattici del Calcio italiano nella transizione anni ’80-’90 e ricoprendo ogni ruolo utile alla causa del suo grande, unico amore sportivo: il Bitonto. Portato anche fuori dal campo, in panchina o dietro la scrivania presidenziale. Insomma, una vita con quei colori addosso, anzi dentro, per una delle bandiere indiscusse del pallone nostrano.

Buona lettura e… Grazie di tutto, Paolo Catucci!

Scusa Paolo, ma quanti anni della tua vita hai dedicato ai colori neroverdi?

“Ben diciassette!”.

Con quali “mansioni” e in quali anni?

“Calciatore dal 1982, quando ho fatto l’esordio con la prima squadra allenata da Mario Licinio, lanciato dal tecnico della Juniores Nicola Molfetta. Avevo 18 anni e da allora non sono più uscito dal giro della prima squadra (della quale sono stato anche capitano per circa quattro anni), se non i quei momenti in cui ho deciso per un ‘tot’ di tempo e per motivi strettamente personali di appendere le scarpette al chiodo. Ho militato nel Bitonto fino al mio ritiro, all’età di 35 anni circa, chiudendo da presidente-giocatore e dopo aver fatto anche l’allenatore in Interregionale (l’attuale Serie D, ndr), quando sono stato chiamato a guidare la squadra in panchina, dopo un esonero, in uno di quei periodi in cui facevo solo il dirigente per scelta. La squadra e la società erano in difficoltà ed io non potevo esimermi dal dare una mano alla causa in prima persona”.

Quindi, non hai mai giocato in altre squadre? Sappiamo di una firma sfumata per poco nel professionismo…

“Una? Due volte ci sono andato vicino… Detto da Nicola Molfetta, sarei dovuto andare al Siena allenato da un giovanissimo Silvio Baldini, ma il DS del Bitonto dell’epoca disse di no al trasferimento senza che io ne sapessi nulla… Invece, durante il servizio militare, il Legnano mi voleva in C, vivendo io lì vicino in quel periodo per la leva. In quel caso dissi io di no, però, per motivi ‘sentimentali’… (ride, ndr). Quindi, a parte aver indossato la maglia della nostra Nazionale militare e le svariate presenze nelle rappresentative regionali in giro per l’Italia, non ho mai giocato con altri colori addosso”.

Come il “Bari dei Baresi” in Serie B, sempre all’inizio degli anni Ottanta, c’è stato anche un “Bitonto dei Bitontini”, in Promozione, del quale sei stato giovane protagonista, come poc’anzi accennato. Parlacene.

“Stagione 1982-1983, i dieci / undicesimi della formazione titolare erano sempre bitontini e tra questi molti giovani come me. L’unico non bitontino di nascita era Antonello Marrano, ma che in realtà era sempre a Bitonto poiché fidanzato con una nostra concittadina, che poi hai sposato. Quella squadra era composta, tra gli altri, dai seguenti bitontini: Pinuccio Lovero, Aruanno, Salierno, Riccardi, Pastoressa, Savoni, Naglieri, Marinelli, Marrone, Nicola Lovero (fratello del suddetto ‘Pinuccio’, ndr), Acquafredda. Allenatore Mario Licinio. Finimmo il Campionato sorprendentemente nelle zone alte della classifica di Promozione”.

Con quali moduli e in quali ruoli ti sei ritrovato a giocare? Non dimentichiamo che hai vissuto il passaggio fra due decenni epocali per lo sviluppo del calcio moderno.

“Ho iniziato con il calcio ‘a uomo’ tradizionale. Ad inizio anni Ottanta giocavo da terzino sinistro nel 4-3-3, per quanto riguarda la prima squadra. Ero molto esile e nella Juniores di Molfetta avevo imparato a leggere prima le intenzioni dell’avversario in modo da anticiparlo sul tempo della giocata ed evitare il contatto/contrasto fisico. Anche se, quando accadeva, non finivo sempre per primo io a terra… Invece, mister Molfetta giocava in maniera più offensiva, per l’epoca, con un 4-4-2 ‘a zona’ molto moderno. Con mister Schino sempre 4-4-2 da terzino sinistro e qualche volta, con Fantasia in panchina, ho fatto il mediano. Più avanti, con il ritorno di Licinio in Eccellenza, mi sono ritrovato anche esterno di centrocampo nel 4-4-2”.

Le tue peculiarità tecniche quali erano? Sappiamo che avevi i vizietti del gol, dell’assist e dei rigori procurati…

“Agonismo, furbizia, tecnica tutta mancina ed ero molto veloce. Per essere un terzino, facevo anche parecchi gol, 6-7 a stagione. Assist e rigori procurati tanti, infine battitore di punizioni e corner soprattutto con mister Putignano”.

E dal punto di vista caratteriale, che tipo eri?

“Ero sostanzialmente tranquillo, infatti ho beccato pochi cartellini in carriera. Forse un po’ troppo ‘burlone’ in campo, ma niente di grave… Fuori dal campo, invece, sono sempre stato molto di compagnia, aggregante e, con il passare degli anni, anche organizzatore di situazioni utili per unire o ricompattare la squadra”.

Chi ti conosce personalmente, sa bene che sei una fonte inesauribile di aneddoti legati ai tuoi tanti anni da leoncello. Vuoi raccontarne almeno uno fra quelli non censurati ai minori di 14 anni?

“Sono tantissimi gli aneddoti, ma quello per me più divertente risale alla gestione Vito Sgobba. Durante alcuni esercizi senza palla, in campo, eravamo tutti a pancia in giù, braccia e gambe da agitare tipo stileliberista. Il mister fece notare al mitico Nanuccio Naglieri, detto ‘Il Guerriero’, che stava svolgendo male l’esercizio, poiché scoordinato, e gli disse: ‘Fai finta che stai nuotando’. Ma Naglieri gli rispose immediatamente a tono, in dialetto stretto: ‘Ma io non so nuotare!’. Ed era vero… Non potete nemmeno immaginare le risate che scaturirono da un simile siparietto”.

I rapporti “speciali” instaurati con presidenti, allenatori e compagni di squadra. Facci alcuni nomi di uomini a cui sei rimasto legato soprattutto fuori dal campo.

“Con Pinuccio Lovero e Luigi Marrone, oltre a giocare, allenavamo i piccoli della Scuola Calcio e con loro tutt’ora c’è un rapporto di stima e amicizia; con Ciocca e Cannone ci sentiamo spesso. È normale che abbia dei ricordi particolari per il mio primo allenatore fra i grandi, Mario Licinio, e per il mio primo presidente che è stato Pasquale Tarantino delle ‘Confezioni Tarantella’, ma sono molto legato anche alla figura forte di Vincenzo Santoruvo. L’anno dello spareggio per salire dalla Promozione all’Interregionale, al momento dell’esonero di mister Picci e conseguente arrivo di mister Fantasia, protestammo per il cambio in panchina, scioperando. Lui, da presidente, ci disse di lasciare i borsoni e di andar via, non pensando che avremmo mai potuto assecondare il suo aut aut. Invece noi, in blocco, lasciammo i borsoni e lui ci rimase molto male, i tifosi da par loro ci menarono e lo spogliatoio, compatto, decise di andare avanti nonostante difficoltà e malcontenti. Arrivammo fino in fondo, perdemmo lo spareggio con il Noicattaro a Barletta; risultato finale 1-1 con due penalty, di cui il secondo assegnato per un fallo su di me e trasformato da Cannone. Perdemmo poi alla lotteria dei rigori con errori nostri dello stesso Cannone e Mimmo Del Re. Io ero il quinto della lista, ma non si arrivò a me. Fummo comunque ripescati per meriti sportivi”.

I calciatori più forti con cui e contro cui ha giocato.

“Oltre a tutti i bitontini di nascita già citati prima ed ai baresi molto ‘bitontini’ Ciocca, Cannone, Basile, Lanave, eccetera, cito Antonio Toma (ex allenatore in seconda di Antonio Conte in Serie B, con il Bari, e in Serie A, con l’Atalanta, ndr), Giampiero Cardinali, Vito Totaro, per quanto riguarda i compagni di squadra. Tra gli avversari, senz’altro Dirceu, Mauti e Manfrin, su tutti”.

Oggi sei un affermato agente assicurativo di Generali Italia SpA. Hai iniziato la carriera lavorativa, che ti ha portato a diventare quello che hai deciso di essere “da grande”, dopo il ritiro da calciatore o mentre eri ancora in attività? Raccontaci in pillole com’è andata…

“Giocavo in Interregionale ed ebbi l’opportunità di entrare in questa più che solida multinazionale italiana; rifiutai di trasferirmi all’ambizioso Massafra proprio per puntare su un discorso lavorativo più a lungo termine. Anche perché bisogna dire che, a differenza di oggi, gli stipendi dei calciatori dilettanti andavano da settembre a febbraio praticamente ovunque. Ecco come mi ritrovo in questo mondo lavorativo, felice e gratificato, ormai da 33 anni…”.

L’essere stato un indiscutibile uomo-simbolo per la nostra città pallonara ti ha permesso anche di prendere parte a due momenti indelebili nella storia del Bitonto Calcio. Chiudiamo con questi ricordi la nostra lunga chiacchierata.

“1990: amichevole per l’inaugurazione del ‘Città degli Ulivi’ contro il Bari di Serie A con in squadra i vari Joao Paulo, Carrera, Raducioiu, Maiellaro, Amoruso, Brambilla, Cucchi. Perdendo più che dignitosamente, tra l’altro.

1996: da presidente, mi recai a Roma in FIGC a ritirare il premio per i 75 anni dell’US Bitonto e nell’occasione condivisi la premiazione con il ‘capo’ della Federazione Nizzola, con Giulivi, il Presidente della Lega Dilettanti, ma c’erano anche Sensi, Bruno Conti e tanti altri rappresentanti di squadre professionistiche che festeggiavano i loro vari anniversari in quello stesso anno. Un grande onore”.