TI RICORDI … NICOLA ROSELLI?
Dodici mesi, dodici uscite dedicate ai grandi protagonisti della storia calcistica neroverde, il più che meritato e doveroso tributo ad alcuni degli attori indimenticabili che hanno scaldato le domeniche pallonare dei bitontini nell’ultimo cinquantennio, facendoci esultare per un gol, una parata, una giocata in mezzo al campo, un intervento difensivo o semplicemente perché hanno indossato la Nostra maglia davvero con lo spirito dell’indomito Leoncello…
Le interviste del Centenario sarà la rubrica che vi terrà compagnia nel corso di questo 2021 che coincide con il compleanno “secolare” del Bitonto Calcio, cento anni attraversati da gioie, dolori, speranze, delusioni, vittorie esaltanti e cadute dolorosissime. Momenti caratterizzati, sempre e comunque, nel bene o nel male, da un comune denominatore: la passione sportiva di una città che non ha mai smesso di lottare e rialzarsi.
Dopo il Figlio del Centro Storico, Vincenzo Modesto, quinta uscita dedicata ad un’altra indiscussa bandiera neroverde del Duemila, probabilmente il non-bitontino (di nascita) più amato dai tifosi del Leoncello dell’ultimo ventennio pallonaro. Stiamo parlando di Nicola Roselli, colui che dava sempre tantissimo alla squadra con la sua classe, la corsa, il suo spirito di sacrificio, la grinta e il carisma, ma che ogni tanto privava la stessa del suo fondamentale apporto a causa di un carattere, di reazioni “scomposte” contro direttori di gara o avversari, i quali d’altronde conoscevano molto bene il suo punto debole temperamentale, che oggi l’ex calciatore 45enne ammette e si rimprovera ancora. Tuttavia, Nico Roselli viene dalla strada, è stato il classico giocatore (dalla Prima Categoria al professionismo, a Noicattaro) che, a prescindere dal tipo di competizione affrontata, ha portato perennemente in campo il bambino di Carbonarache giocava per strada dal primo pomeriggio fino a sera. Senza filtri, senza diplomazia, senza maschere… Nel cuore dei suoi seguaci e dei suoi amici vi è entrato di prepotenza e difficilmente ne uscirà, perché Nico è la classica persona, per quanto burbera, sanguigna, istintiva, sulla quale si può sempre contare ad occhi chiusi. L’amico che difenderebbe chi gli è accanto a qualsiasi costo, anche con il rischio di passare per il “rompiscatole” o il piantagrane della situazione, dentro e fuori il rettangolo verde. Ma questo è Nicola Roselli e nessuno mai riuscirà ad ammaestrare lo straordinario leone indomabile che c’è in lui, fin da quando era solo il bambino di Carbonara che giocava ore e ore per strada. Calciando divinamente un pallone, inseguendo follemente un sogno. Buona lettura.
Ciao Nico. Tu sei considerato da moltissimi tifosi neroverdi il calciatore più bitontino fra i non bitontini che abbiano mai calcato il prato verde del “Città degli Ulivi”. Perché secondo te?
“Perché probabilmente i bitontini mi identificano come il tifoso che è arrivato a giocare nella squadra del cuore, perché ci ho messo sempre la faccia, perché li ho rappresentati anche con la fascia al braccio senza mai avere paura di niente e nessuno. Poi, undici anni in neroverde sono tanti, alcuni dei quali vissuti pure tra mille difficoltà, e Nico Roselli non s’è mai tirato indietro, anche quando è stato chiamato a fare il secondo di mister Zinfollino, non potendo più dare il suo apporto in campo come una volta”.
Qual è stata la chiamata del Bitonto più importante a cui tu hai subito risposto “presente”? Ricordaci anche i presidenti e gli allenatori che più ti hanno fatto sentire importante…
“Io ho vissuto due vite da calciatore a Bitonto, la prima ‘giovanile’ lunga sei anni e la seconda ‘matura’ di cinque. In tutti questi anni ho conosciuto tanta gente che mi ha fatto sentire davvero importante o che comunque mi ha rispettato per quello che sono: Pettini, Mazzilli, Saracino, Noviello, Cariello e poi gli allenatori Di Venere (un padre calcistico per me), Caricola, Ragno, Del Rosso, Ruisi, l’amico fraterno Gino D’Addabbo, Forziati, Francesco Modesto, Pettinicchio.
La chiamata più importante è stata quella che mi ha spinto per amore a ri-vestire la maglia neroverde in Prima Categoria, quando ormai non ero più un ragazzino… Avevo deciso di smettere (estate 2012, ndr), ma Ciccio Noviello e Vincenzo Cariello vennero a fare un’amichevole precampionato a Carbonara, io così decisi di andare a salutare un po’ di amici e quei tifosi che mi avevano fatto sempre sentire un re. Si scatenò però un brutto temporale estivo e la caduta di un fulmine fece interrompere la partita. Fu allora che Ciccio e Vincenzo ebbero l’idea e il tempo a disposizione per illustrarmi i loro progetti futuri e mi fecero la proposta ‘folle’ di ricominciare a 36 anni, con il Bitonto Calcio. Accettai all’istante…”.
Tu hai anche vinto tanto in neroverde. Elenchiamo un po’ di successi, dai!
“Due Campionati di Promozione, uno di Eccellenza, i playoff di Prima Categoria, più la Coppa e la Supercoppa regionale di Promozione che portarono alla conquista del famoso ‘triplete’ del 2014”.
La fascia sinistra è sempre stato il tuo regno. Illustra a beneficio dei pochi appassionati che non ti hanno mai visto giocare quali erano le tue caratteristiche tecniche principali, i ruoli che hai ricoperto e qual era il tuo punto debole…
“Sempre sulla corsia di sinistra, ho fatto il terzino nei miei primi anni di carriera, poi sempre il centrocampista esterno, la mezz’ala o l’esterno alto; inoltre, sia durante che a fine carriera ho giocato anche da trequartista, perché lanciavo alla grande gli attaccanti. Chiedete a Nando Terrone, se non mi credete (ride, ndr). Ho smesso a 41 anni, proprio da trequartista, così correvo un po’ meno e mi divertivo tanto con i piedi… I miei punti di forza erano la corsa, la tecnica da fermo e in velocità, il senso tattico con delle coperture difensive che hanno fatto la fortuna di molti allenatori. Forse ho fatto più assist che gol, ma segnavo sempre i miei buoni gol in ogni stagione, sono anche arrivato in doppia cifra, una volta. Probabilmente il mio tallone d’Achille era il colpo di testa in fase offensiva, dal momento che qualche gol di destro l’ho realizzato! Devo dire che mi è anche andata sempre abbastanza bene con gli infortuni perché, a parte la rottura del crociato nel 2007, ho potuto avere una certa continuità da calciatore”.
E il tuo famoso temperamento in campo, vuoi parlarcene?
“Sin da piccolo, essendo cresciuto per strada a Carbonara, dove si giocava ‘senza regole’ dal primo pomeriggio fino a tarda sera, sono stato abituato ad affrontare a muso duro gli avversari, a dover battagliare per conquistare la vittoria e affermarmi come ragazzo-calciatore. Con gli avversari e con gli arbitri di ‘problemi’ ne ho avuti tantissimi, infatti credo di aver collezionato più di dieci cartellini rossi in carriera. Però, va sottolineato, non sono mai stato altrettanto intrattabile con i compagni di squadra, che al massimo spronavo o ‘rimproveravo’ a voce alta (soprattutto con i più giovani, per mettere anche alla prova la loro personalità…), ma poi ero sempre il primo a fare gruppo, a difenderli, a incoraggiarli. Contro gli arbitri, in particolare, mi sono sempre accanito molto perché non li reputavo alla nostra altezza, tranne pochissimi, tra l’altro molti di queste rare eccezioni non facevano nemmeno la carriera che meritavano ed in me si è alimentata negli anni la certezza dell’esistenza di un sistema di ‘raccomandazioni’ che mi mandava in bestia… Eppure un grosso rimpianto ce l’ho, per quel mio carattere difficile quando ero in campo, ed è legato ad un grande allenatore che, secondo me, non ha fatto la carriera meritata. Si tratta di mister Enzo Del Rosso, al quale vorrei chiedere scusa a quattr’occhi, un giorno, per come mi comportai tanti anni fa a Matera, durante una partita con il Noicattaro. Mi sostituì ed io uscii dalla parte opposta del campo rispetto alle panchine, bestemmiando nei suoi confronti per la rabbia durante tutto il tragitto fino agli spogliatoi. Lui però si dimostrò un grande uomo, oltre che un signor allenatore, perché all’allenamento successivo disse davanti a tutti che avrebbe chiuso i rapporti ‘umani’ con me, ma continuando comunque a considerarmi un calciatore a sua disposizione senza preclusioni, condizionamenti o altro. E così fece: si trattò di un’inaspettata lezione di vita applicata al mondo del Calcio…”.
Eppure, chi ha avuto il piacere di conoscerti e frequentarti anche fuori dal campo, narra di un Nico Roselli totalmente diverso quando si è lontani da un pallone che rotola, avversari da superare, partite da vincere e arbitri da sopportare…
“Non devo dirlo io. Chiedete semplicemente a chi mi conosce davvero, ai miei amici di sempre o ai compagni di squadra che ho avuto a Bitonto. Rompo le scatole a tutti, so anche essere insopportabile, ma tutti mi vogliono bene ed io sono leale con questi ‘tutti’. Certo, non devi stuzzicarmi con la cattiveria, sennò mi accendo in un niente!”.
Se potessi tornare indietro, cosa non faresti o non vorresti rivivere dei tuoi tanti anni in forza al Leoncello? Avrai sicuramente un rimpianto o una sconfitta da cancellare nella tua mente.
“L’unico vero rimpianto da calciatore è rappresentato da quei miei ‘rossi’ che hanno messo in seria difficoltà la squadra o, talvolta, ne hanno addirittura causato la sconfitta… Non sono mai retrocesso con il Bitonto, quindi, non c’è stata una sconfitta in particolare che ci ha devastato a tal punto da volerla cancellare. Da tifoso neroverde, invece, il rimpianto più grande si chiama Serie C…”.
Quali sono, oggi, i tuoi rapporti con Bitonto e con il Bitonto? Un amico in comune proprietario di un famoso locale di ristorazione ci ha raccontato dei tuoi simpatici blitz quando passi – spesso, a quanto pare – da queste parti. Segui sempre le vicende calcistiche della nostra città?
“Seguo sempre le partite, i risultati, eccetera sui Social. La scorsa stagione, in occasione di Bitonto-Taranto, venni al ‘Città degli Ulivi’ e fu una gran vittoria per la squadra di mister Taurino. Ho anche un buon rapporto di stima e rispetto con il Presidente Rossiello. A Bitonto comunque ci vengo molto spesso per via del mio lavoro legato alla struttura ospedaliera del paese e, quando posso, colgo sempre l’occasione per ‘sfottere’ un po’ di gente a cui sono rimasto legato (ride, ndr)… Inoltre, il giovane esterno neroverde Silvio Colella è il nipote di un mio caro amico ed ho messo ovviamente una ‘buona parola’ per il suo passaggio al Bitonto di Ragno, a gennaio”.
Con il Calcio da protagonista, in generale, hai chiuso definitivamente? Sappiamo che, almeno con gli amici di sempre, ti diverti ancora a giocare amichevoli in settimana e che, nonostante i 45 già compiuti, dici ancora la tua sui campetti di Bari. In tutti i sensi…
“Ho sostenuto il corso per allenatori ‘UEFA B’ e, dopo l’esperienza come secondo di Gigi Zinfollino, ho ancora voglia di allenare. Mi piacerebbe fare prima tanta esperienza e poi magari sedere su una panchina da primo allenatore, nonostante mi sia già reso conto che talvolta emerge, anche da tecnico, l’uomo-calciatore istintivo che è sempre in me… Ho disputato su Bari dei tornei per Over40, fino a poco tempo fa (incontrando e affrontando anche miei ex compagni di squadra, come Lorenzo Battaglia, un talento incredibile!), ma mi sono reso conto che troppo spesso si rischiava che andasse a finire male… Ora, solo sfide 8vs8 con gli amici del quartiere, ma solo quando si va a mangiare tutti insieme, dopo la partita, si ride, si scherza e si va tutti d’accordo perché finché si è in campo agonismo e bagarre sono assicurati!”.
Chiudiamo proprio all’insegna dell’amicizia. I nostri colori e la nostra città ti hanno lasciato in eredità non solo semplici compagni di squadra, ma soprattutto uomini, persone a cui sei sempre rimasto legato anche fuori dallo spogliatoio. Uno di questi è sicuramente Vincenzo Modesto. Parlaci un po’ del vostro rapporto e dicci chi sono gli altri bitontini (non solo calciatori) che mai dimenticherai.
“In Vincenzo Modesto ho sempre visto il mio erede naturale in maglia neroverde. Non tanto per le caratteristiche tecnico-tattiche, perché siamo tutti diversi come calciatori, ma per l’attaccamento ai colori sì. Poi sono i colori della sua città, a cui tiene tanto… L’ho cresciuto calcisticamente, ci sentiamo spesso e c’è grande affetto tra di noi. Ma anche con Nicola De Santis, Oronzo Bonasia, Francesco Noviello, Vincenzo Cariello, Emanuele Santoruvo e con il Modesto del ‘Mody50’ i rapporti restano quelli di sempre. È vero quando dici che Bitonto mi ha lasciato umanamente tanto in eredità e per tutto questo non potrò mai voltare le spalle alla mia seconda casa”.